Un dipinto divisivo, “Teresa sognante”, Metropolitan Museum N.Y.

Ci sono, nella storia della pittura, artisti che hanno procurato scandalo con la loro vita sopra le righe o con i loro dipinti; scelte per le quali hanno patito – in vita e anche dopo – un severo ostracismo. Com’è capitato, ad esempio, a Gustave Courbet per il suo L’origine del mondo, a Egon Schiele per il Nudo disteso o, ancora, ad Amedeo Modigliani, il cui celebre Nu couché (o Nudo rosso), dapprima sui giornali americani e poi di recente anche in Italia è stato oscurato con delle bandelle o addirittura tagliato in un francobollo emesso in occasione del centenario della morte del pittore livornese.

Un altro pittore biasimato è certamente Balthus, pseudonimo di Balthasar Kłossowski de Rola [1908-2001], conte di origine polacca e naturalizzato francese, le cui tele spesso ritraggono bambine in pose giudicate troppo discinte o con un’esplicita carica di sensualità. Ne cito alcune: Katia che legge, Nudo con la chitarra, Nudo con gatto, Nudo a riposo, Gli anni d’oro, o la celebre Teresa sognante.

Proprio quest’ultimo dipinto, opera del 1938 ora esposta al MET di New York, è quello che è finito più di altri sotto la lente (e le forbici) dei censori benpensanti, con l’accusa di “romanticizzare il voyeurismo e la sessualizzazione di una bambina”. Un’accusa assurda per un’epoca, la nostra, in cui è finito per diventare tabù ciò che fino a poco tempo fa non lo era e da cui lo stesso autore si discolpò dicendo che l’erotismo percepito era un’attribuzione che gli davano le menti torbide. Insomma, per dirla con Padre Cristoforo, “Omnia munda mundis”, tutto è puro per i puri o almeno così dovrebbe essere piuttosto che far diventare la pittura un’occasione per contrastare la “libertà artistica”.
Tra i severi censori di Balthus, ha ricordato Valeria Merlini [Quotidiano del Sud, 10 maggio 2020], c’è stato anche Giovanni Testori, storico dell’arte e critico letterario di profonda fede e cultura cattolica, il quale ritenne di liquidare il pittore con un giudizio sprezzante e per lui definitivo: «Scostante ideatore e mediocre realizzatore d’afone e finte scene di intrighi psico-erotici, decoratore d’alta sapienza decandentistica ma di scarse doti pittoriche».
Contro il clima di caccia al pedofilo strumentalmente alimentato, la vedova di Balthus, Setsuko Ideta, che per la prima volta aveva incontrato il 55enne Balthus quando aveva appena 20 anni, così argomentò a Gianluigi Colin [la Lettura – Corriere della Sera, 23 settembre 2018]: «Le bimbe modelle e lo scandalo di Thérèse? È normale che un uomo sensibile sia attratto da quella bellezza, un’età dell’innocenza. Dobbiamo innanzitutto capire quali sono le basi di questa discussione. Se uno guarda un quadro con come opera d’arte, ma pensando alle convenzioni, alle proprie ossessioni o paure, il problema è solo suo».
E sulla raccolta di firme promossa per chiedere al MET di rimuovere “Thérèse Dreaming” dalle sue sale, Setsuko Ideta aggiunse: «Per quanto mi riguarda, non comprendo proprio questa polemica. Infatti il Metropolitan ha risposto correttamente. L’opera è rimasta al suo posto. La questione drammatica dei nostri giorni è che è diventato sempre più difficile parlare d’arte, perché sei costretto a confrontarti spesso con chi non ha competenze, sensibilità e cultura. Per quanto riguarda Balthus ha lavorato profondamente partendo dalle radici della storia dell’arte».
È risaputo, infatti, che fin da ragazzo Balthus abbia fortemente voluto venire in Italia (e lo fece appena diciottenne) per vedere e studiare da vicino le opere dei maestri pre-rinascimentali come Piero della Francesca, Masaccio, Masolino, Paolo Uccello e Simone Martini, a cui aveva da sempre guardato con interesse e passione e che molto influenzarono la sua produzione artistica. «Il desiderio di venire fin qui e vedere le opere di Piero della Francesca mi ha perseguitato per gli scorsi cinque anni», scriverà in seguito da Arezzo.
Thérèse Blanchard, la modella undicenne prediletta da Balthus che tra il 1936 e il 1939 compare in almeno altre dodici composizioni (da sola o con suo fratello), nel ritratto che le fa il pittore appare assorta, riflessiva, presa da chissà quali incantamenti. Dai primi inconsapevoli turbamenti adolescenziali? Da un’incombente e primordiale sensualità femminile? Non lo sappiamo e nemmeno serve saperlo. Conta, invece, l’abilità del pittore che ha saputo cogliere l’attimo sognante della fanciulla, anche se Balthus si affrettò a dire a chi cercava di metterlo in difficoltà: «Io non dipingo il sogno, dipingo la sognatrice».
Allora è la posa a suggerire inquietudine? Anche qua ci sarebbe molto da dire. La giovinetta, seduta su una sedia in verità alquanto sbilenca e sostenuta da un grande cuscino verde, è agghindata con una modesta camicetta bianca sopra una gonna rossa; colore richiamato anche dalle scarpe che calza. Le gambe, la destra appoggia naturalmente a terra mentre la sinistra è piegata sulla sedia verso di sé, sono divaricate così che lasciano intravedere la biancheria intima della giovanissima modella.
La composizione, in verità alquanto semplice nella sua costruzione figurativa, induce chi osserva a concentrarsi sulla gamba in primo piano così che, complice anche il gioco della luce, diventa un indicatore puntato sul volto trasognato di Thérèse e sulle braccia larghe.
Dovessi dire, al di là dei morbidi lineamenti del viso e degli occhi chiusi, persi dietro chissà quali pensieri, credo che sia proprio la posa delle braccia l’elemento di maggiore sensualità. E penso alle non meno sensuali braccia larghe delle Maya di Francisco Goya, ai “nudi sdraiati” nei quali Modigliani raffigurò la sua Jeanne o alla posa di Gala Diaconova, la modella e amante di Salvador Dalì, nel più recente Un secondo prima della puntura. Tutto il resto è gratuita morbosità.
La giovanissima Thérèse Blanchard compare in un ambiente familiare, una stanza modesta (forse la casa stessa del pittore) con un non meno modesto arredamento e pochi oggetti quotidiani. Le fa compagnia un gatto intento a pasteggiare in una ciotola ai piedi della sedia; forse quel Mitsou presente in tanta parte dei dipinti di Balthus, che in un suo autoritratto si definì “il signore dei gatti”. Tutti elementi che contribuiscono a raffreddare la carica di sensualità che si è voluta assegnare alla figura della modella, che così continuerà a oscillare tra innocenza ed erotismo.
«Molti considerano le mie fanciulle nude erotiche. Ma non le ho mai dipinte con questo intento, che le avrebbe rese semplici oggetti di pettegolezzi. Ho mirato esattamente al contrario, a circondarle di un alone di silenzio e profondità, come se volessi creare attorno a loro una vertigine», diceva Balthus, che vedeva nella postura delle sue giovanissime modelle le pose spensierate che sono proprie dell’infanzia. D’altronde non poteva esserci altro spirito per lui che era sinceramente cristiano e che anni dopo si sarebbe vantato di aver conosciuto Giovanni Paolo II, «un uomo da carisma eccezionale», avrebbe detto, verso cui nutriva profonda ammirazione.
Passano pochi anni ed ecco che cambiano le chiavi di lettura anche delle opere d’arte, tanto che Natalia Aspesi [Repubblica, 2009] può così annotare: «Arte e pedofilia si sono spesso intrecciate, suscitando più che altro dibattiti fumosi e, nel dubbio, si è sempre preferito pensare che se l’artista era devoto alle adolescenti o addirittura alle bambine, era esclusivamente per ragioni intellettuali. Lewis Carrol fotografava piccine con camiciole discinte solo, secondo i suoi estimatori, per immortalarne l’innocenza, Balthus dipingeva bambine con le gambette spalancate, per pura passione grafica e senza un solo pensiero cattivo. Chaplin magari era più sincero, chiedeva alle mamme di certe decenni simili ad angeli di riportargliele qualche anno dopo, non si sa mai, potevano diventare dive».

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Michele Vespasiano

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