Non è solo questione di ospedali o di distanze… i piccoli borghi bisogna corteggiarli, cantarli e lasciarsi incantare da essi

Leggo il pensiero di un intellettuale delle mie parti. Sostiene, in maniera apodittica, che se non ci sono servizi e infrastrutture non può esservi futuro per i piccoli borghi. Un argomento, questo, su cui si è discettato negli ultimi tempi, purtroppo solo sui social e su qualche giornale, senza che ne conseguisse alcun riverbero nelle scelte che la politica dei territori fa quotidianamente, con i sindaci, i governatori e ancora prima con il Governo nazionale.

Non ci si trasferisce nei paesi – dice – se ci mette un’ora e mezzo per arrivare in un ospedale”. Ovviamente è una sineddoche, volendo il Saggio intendere una parte per il tutto.

Munito solo della pochezza del mio pensiero, per chi come me non abita l’Empireo, vorrei meglio dire che servono SCUOLE innanzitutto e poi la difesa del VERDE e la cultura dell’ambiente, che in Irpinia sono la nota distintiva; e ancora le STRADE, la MEMORIA dei luoghi e il rispetto della STORIA, infine ci vuole INVENTIVA nel progettare o solo pensare il futuro. Ma più di ogni altra cosa serve il LAVORO, che è ragion d’essere, è dignità, è famiglia. Lavoro vero, senza che ci si appiccichi una parola vicina, come diceva Troisi in una sua celebre scenetta; parole parassite che, pur senza soppiantare quelle classiche (a nero, a cottimo, minorile, ecc.), si sono modernizzate: lavoro flessibile, a progetto, a partita iva, ecc.

Serve quel lavoro che giorno dopo giorno è stato depredato ai piccoli paesi dalle industrie che prendono i soldi e scappano (sempre se prima non hanno lasciato rifiuti tossici), dall’agricoltura che è stata mortificata nei prodotti che dava e nelle prospettive che apriva, preferendo che si scambiasse la cura dell’orto o la fatica della semina con un posto in fabbrica che abbia la cassa integrazione incorporata. E sottratto finanche dallo Stato, che chiude uffici pubblici, tribunali e pure gli ospedali, che garantiscono sì servizi, ma che sono anche posti di lavoro.

E poi occorre INCORAGGIARE chi, invece, ha fatto la scelta di rimanere. Nutro profondo rispetto per chi l’ha fatto, ancor più se sono giovani. Ce l’ho addirittura in casa chi ha inteso fare la scelta della sua vita restando in paese, per inseguire e realizzare quello che i suoi sogni gli suggerivano. Ne conosco pure altri, però, per i quali restare ha significato e significa essere la costola malata di amministratori boriosi e camorristi, che danno da mangiare come si butta la graniglia alle galline. Va bene anche così, ma vuoi mettere la differenza?

Mi è già capitato di RIFLETTERE con un amico architetto che la sua categoria, ma anche quella degli ingegneri e dei paesaggisti, non può sentirsi senza colpe; piuttosto che accontentarsi di progettare purchessia anonime strutture abitative, andava veicolata a spada tratta la bellezza di un borgo restaurato, il riuso abitativo delle case abbandonate. Piuttosto che il recupero di vecchie masserie, hanno invece progettato ville con marmi e con piscine, per nuovi ed inutili “villani”. È colpa loro, ma lo è anche e soprattutto di amministratori locali mangioni e arruffoni; gli stessi che oggi inseguono il sogno di vendere ad un euro le case delle loro ghost town, divenute alternativa alla bulimia delle metropoli. Come dire, prima si fanno scappare i buoi e poi si corre a chiudere la stalla. Non basterà vendere cento, mille o diecimila di queste case, i nostri paesi resteranno sempre deprimentemente vuoti.

Si stanno facendo scelte, in questi giorni, affidate ai burocrati o, peggio ancora, a chi le vede solo con la lente dell’interesse elettorale. Pessima cosa!

BISOGNA INNAMORARSENE, invece, dei piccoli borghi. Bisogna corteggiarli, cantarli e lasciarsi incantare da essi. La ripartenza dopo la pandemia  non può essere “una questione della domenica”, come dice il Dotto, ma la battaglia della vita. La nostra, quella dei nostri figli e forse pure dei nipoti!

 

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Michele Vespasiano

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