L’uovo di Piero, uno degli oggetti più celebri e più misteriosi della letteratura artistica

So di non poter aggiungere nulla a quanto già è stato detto e scritto sull’uovo penzolante nella ‘Pala di Brera’, il capolavoro di Piero della Francesca databile al 1472 circa e conservato, appunto, nella Pinacoteca di Brera a Milano. Su questo dipinto, infatti, si sono misurati e confrontati eminenti studiosi di arte, oltre che biblisti ed esperti di cosmogonia, di matematica e di geometria. Ciononostante, poiché da sempre la vista di quell’uovo mi ha intrigato, provo a riprendere l’argomento, facendo il punto degli studi. Prima, però, è doverosa qualche parola sul celeberrimo dipinto del “Maestro Pier dei Franceschi, famoso pittore”, uno dei grandi pittori italiani del Quattrocento e tra le personalità più emblematiche del Rinascimento italiano.

Piero della Francesca, Madonna della Misericordia, autoritratto

Comincio col dire che il titolo completo e pertinente dell’opera, altrimenti detta anche ‘Pala Montefeltro’ in quanto commissionata da Federico da Montefeltro, signore di Urbino, è ‘Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro’.

La Pala di Brera

Nella scena la Vergine Maria, è seduta in maestà su un faldistorio, mentre regge sulle ginocchia il Bambino, che dorme in una posizione che, prefigurazione della sua morte, rimanda alla deposizione nel sepolcro.

Al di là dell’immaginifico compositivo, stilisticamente la Pala è principalmente ammirevole per l’impianto prospettico (scienza nella quale il pittore aretino era particolarmente preparato), strutturato con un unico punto di fuga centrale posto all’altezza del viso della Madonna ed enfatizzato oltremodo “con un trattamento magnifico della luce, astratta e immobile” (come rileva l’ignoto estensore dell’apposita voce su Wikipedia).

Ancora un’annotazione, prima di tornare all’uovo, riguarda la grande conchiglia che riempie il catino absidale.

Sulla simbologia di questa valva tanto è stato detto, arrivando a proporre letture esoteriche e interpretazioni filosofiche sull’origine del mondo e della vita cui rimanderebbe la conchiglia. E da ciò l’idea – in verità poco condivisa dalla gran parte degli studiosi – che l’oggetto penzolante possa essere una perla “a cui la conchiglia fa da sfondo, la racchiude, la protegge, le conferisce appunto, un significato cosmogonico”. E quindi la conchiglia alluderebbe alla “natura femminea” che dà la vita.

Detto e riconfermato che la tavola nel Museo di Brera è una summa di simbolismi, appare più credibile, invece, la supposizione che la grande valva sia innanzitutto metafora della bellezza. Per l’allegorismo mitologico, infatti, la conchiglia è associata a Venere, la dea della bellezza (teniamo a mente, ad esempio, la Venere del Botticelli). Nella ‘Pala di Brera’, invece, è la Madonna il simbolo della bellezza eterna e la Vergine è nel contempo la generatrice del più grande dono che abbia avuto l’umanità: il Figlio. E questo dono – come convengono in tanti – nella ‘Sacra Conversazione’ è simboleggiato dall’uovo che Piero fa pendere sulla testa di Maria, evidente allusione all’armonia geometrica e alla Creazione.

Ed eccoci all’uovo, che tutti gli studiosi sono concordi nel dire che è di struzzo.

Pala di Brera, l’uovo

Lo storico dell’arte Antonio Paolucci, che definisce l’uovo di Piero “uno degli oggetti più misteriosi e più celebri della letteratura artistica”, pur senza fornire prove documentali parla “dell’uso diffuso di sospendere fisicamente uova di struzzo all’interno di importanti edifici religiosi, come il duomo o il battistero di Firenze, luoghi che Piero della Francesca conosceva bene”.

Per teologi e biblisti quest’uovo “è un chiaro riferimento alla spiritualità dell’Immacolata Concezione, in quanto si riteneva che quell’animale fosse ermafrodita e, seppellendo le proprie uova che si dischiudevano al sole, fosse il chiaro simbolo di un intervento divino”. Per gli alchimisti, invece, l’uovo rappresenta il segno capace di riportare ogni elemento alla sua purezza originaria, tanto da essere assimilato alla pietra filosofale.

L’uovo di struzzo, che secondo la tradizione medievale, poteva essere fecondato grazie all’azione dei raggi del sole, rimanda indubitabilmente all’arme della famiglia Montefeltro, che nello scudo esibiva appunto quest’animale. Ciò ha indotto gli studiosi a credere che l’uovo pendente richiami anche la nascita di Guidobaldo, il figlio del Duca, avvenuta proprio agli inizi del 1472; un richiamo enfatizzato anche dal ciondolo di corallo che cinge il collo del piccolo Gesù; corallo presente anch’esso nello stemma familiare dei Montefeltro.

Chiudo con un paio di annotazioni, questa volta di natura stilistica. La prima porta a considerare che l’uovo sospeso richiama pari pari l’ovale del viso con il quale il pittore aretino ha reso il volto della Vergine. La seconda induce a considerare che né l’uovo né la catenella a cui è sospeso, pur colpiti dalla luce, lasciano ombre; conoscendo la precisione maniacale di Piero nella resa dei dettagli, tale mancanza fa pensare che il pittore abbia ancora una volta voluto lasciare un simbolo che qualche studioso ha letto come “un’interpretazione che si avvale di un significato mistico-divino: nella sua fisicità e nel contempo immaterialità, Dio si manifesta e si fa uomo ma nell’atto stesso di rendersi visibile appare privo di oggettiva corporeità”.

A chiusura di questa lacunosa nota sull’uovo di Piero, non posso omettere di ricordare che Salvador Dalì riprenderà il simbolismo dell’uovo in più di un’opera; in particolar modo è assai evocativo l’uovo sospeso nella “Madonna di Port Lligat“, versione surrealista della pala di Brera.

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Michele Vespasiano

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