Praticamente fin dal mio primo stipendio di insegnante sostengo le adozioni missionarie. Si tratta di contribuire alla formazione in seminario di giovani per lo più di paesi africani o asiatici. Una pratic, un tempo largamente diffusa tra i colleghi di scuola, a cui aderii su sollecitazione di Antonietta, una cara amica scomparsa da poco e alla quale mi sono sentito legato da un forte legame di affetto.
Antonietta, con la sua pressante bonomia aveva indotto molti di noi a queste adozioni; anche chi, in verità, ne avrebbe fatto a meno nonostante la retta che occorreva versare annualmente fosse di poche decine di euro. E non dico della gioia, sì non esagero, si trattava di pura gioia, che provava quando con regolare puntualità arrivavano notizie sul progresso negli studi di questi giovani seminaristi; notizie corredate anche da una foto che in qualche modo ce li faceva conoscere quasi personalmente.
Superati i cosiddetti “ordini minori” dalla riforma voluta da Paolo VI, ci veniva detto dei vari gradi del ministero ecclesiastico che costoro superavano: il lettorato, l’accolitato, fino al diaconato e all’agognata ordinazione presbiterale.
Con altrettanta regolarità, in vero, ci veniva comunicato anche l’eventuale abbandono degli studi in seminario o alle facoltà teologiche. Se ne rammaricava non poco l’amica Antonietta e con essa anche noi.
Una di queste volte che pervenne la rituale comunicazione, Antonietta non nascose la sua esultanza: tre dei nostri adottati avevano preso messa. Erano tre giovani del sud-est asiatico, di qualche regione dell’India mi pare di ricordare.
Senza esitare passò la lettera a Mimì, il quale le diede una rapida scorsa, probabilmente per compiacere Antonietta o forse perché non era nuovo a siffatte partecipazioni. Subito dopo il foglio passò nelle mani di Amilcare, un collega di sicuro più arguto e scafato del primo. Costui girò e rigirò tra le mani la lettera con tanto di stemma e timbro di una qualche congregazione vaticana, forse del Pontificio Istituto Missioni Estere, e soprattutto con le foto dei nuovi presbiteri. Ne saggiò la scrittura essenziale, al limite del burocratico. Vagliò le foto tessera dei giovani e dopo averne tratto un suo lombrosiano convincimento proruppe: «’Ndune’, quisti arrobbene li juorni a Cristo e lu pane a nui!!!», e restituì la missiva all’esterrefatta collega che, ben conoscendo i toni dissacratori di Amilcare, risolse la vicenda con una sonora risata nella quale ci sentimmo coinvolti anche io e Mimì.
A proposito, mi debbo ricordare di versare la mia retta annuale. Antonietta, purtroppo, è morta e con lei anche i miei amici e colleghi Amilcare e Mimì. Non però la mia determinazione a proseguire nel sostenere le adozioni missionarie!