Per il 25 Aprile, “Festa della Liberazione”, mi sono lasciato intrigare da questo dipinto del pittore friulano Giuseppe Zigaina (1924-2015), tra i più illustri pittori e incisori del ‘900 italiano, esponente di primo piano del Neorealismo italiano oltre che amico di Pier Paolo Pasolini (ricorre quest’anno il centenario della nascita), con il quale condivideva non solo le comuni origini friulane ma anche la poliedrica passione per l’impegno civile.
Con questo suo lavoro, realizzato nel 1952 nel ciclo più ampio detto delle “Biciclette”, il prolifico artista, nato a Cervignano del Friuli, ha inteso celebrare sia la liberazione dall’oppressione nazifascista sia l’importanza che le due ruote hanno avuto durante la resistenza, principalmente per merito delle donne che facevano le staffette per assicurare essenzialmente i collegamenti tra le varie formazioni impegnate nella lotta armata.
Nell’opera di Zagaina, che si distingue per la marcata e brillante cromìa, le biciclette tornano tra le mani dei partigiani, i quali deposti finalmente i fucili sfilano compatti verso un futuro di democrazia partecipata; una marcia enfatizzata dall’orgoglioso tripudio di bandiere tricolori, che sventolano sul fondale di un cielo azzurro. Sui loro visi, però, non c’è traccia di contentezza, forse perché sono consci di essersi lasciati alle spalle un subisso di morti, al quale appartengono inequivocabilmente anche i due corpi, probabilmente di collaborazionisti fascisti, che nello sfondo del dipinto penzolano appesi ad una corda.
La marcia silenziosa di questi uomini, che esibiscono un fazzoletto annodato al collo, segno distintivo delle brigate di appartenenza, procede sicura, anche perché la loro lotta ha definitivamente spezzato le catene dell’oppressore, che il pittore ha messo in primissimo piano sul registro inferiore della quadro.
Il dipinto di Giuseppe Zigaina, probabilmente un manifesto grafico di cui non si conosce la collocazione, è una composizione dalla forte connotazione cubista e futurista, si iscrive nel novero delle opere dell’immediato dopoguerra riconducibili al cosiddetto “realismo sociale”, del quale l’artista friulano fu uno dei principali esponenti. Un filone al quale appartengono i cicli pittorici realizzati nei primi anni ’50, come il già citato Biciclette o anche l’altro detto dei Braccianti, opere impostate geometricamente con precise connotazioni plastiche, con un forte senso del dramma e un perfetto equilibrio, del tutto prive di retorica.
Divenuto più attento sia al Picasso postcubista che all’Espressionismo tedesco, nel secondo dopoguerra Zigaina s’impose nel panorama artistico nazionale per una serie di quadri contrassegnati da un realismo visionario acceso di toni anche espressionistici. “La pittura del periodo, contrassegnata da un realismo innestato da toni espressionistici, presenta forti contrasti luministici e tavolozza a tutto campo”, hanno annotato i critici.
In merito alla sua vastissima produzione artistica Zagaina, migliaia e migliaia di opere pittoriche e di grafica delle quali è stato impossibile approntare un castalogo generale, in 70 anni che attraversano tutta la seconda metà del Novecento e il primo decennio del secolo successivo, sosteneva: «Personalmente e come realista (perché è questa la corrente dell’arte italiana cui appartengo) penso che un artista moderno non possa in alcun modo disinteressarsi delle vicende degli uomini, ma come ogni altro vero uomo di cultura abbia il compito di adoperare la sua autorità per imprimere all’andamento delle cose il senso che egli ritiene il più giusto a seconda della sua concezione della vita e del mondo».