«Io abolirei ‘Storia dell’Arte’. Al liceo per me era una pena». No, non sono parole mie. Anzi!!!
Io ricordo benissimo quando al ginnasio studiavo storia dell’arte, tanto che conservo memoria finanche dei testi in adozione – rigorosamente in bianco e nero – e i loro autori: Storia dell’Arte italiana di D’Ancona-Wittgens-Gengaro, Bemporad Marzocco, Firenze. A richiesta potrei addirittura dire su quale pagina si diceva del Sarcofago degli Sposi conservato al Museo di Valle Giulia, una delle sculture più affascinanti al mondo.
Invece l’espressione improvvida è nientemeno che di Alberto Bonisoli, Ministro dei Beni Culturali, il quale, durante un briefing con i Sovrintendenti della Liguria (tra l’altro trasmesso in streaming sul canale del Mibac) si è fatto prendere dallo sconforto dei suoi ricordi scolastici, lasciando basiti tutti i presenti e creando nel contempo un inevitabile scompiglio tra gli storici dell’arte e i docenti della disciplina, del resto già ampiamente ridimensionata da Maria Stella Gelmini (lei ministro dell’istruzione) nei quadri orari dei vari indirizzi di scuola!
Che dire, non siamo nuovi ad esternazioni di tal fatta da parte di esponenti dei Governi nazionali. Come non ricordare, infatti, l’ineffabile Giulio Tremonti, allora ministro dell’economia, che pronunciò la fatidica frase: “Non è che la gente la cultura se la mangia”, giornalisticamente tradotta in “Con la cultura non si mangia”. E di lì a poco c’è memoria di un altro ministro berlusconiano, Renato Brunetta, che si riteneva titolato a stabilire quali arti generassero cultura, tant’è che avrebbe ben volentieri cancellato il teatro, la musica, il cinema, la danza. In pratica avrebbe decimato buona parte delle nove Muse!
I nostri governanti d’altronde sono in buona compagnia, se è vero come è vero che finanche l’illuminato Barack Obama, sì proprio il penultimo presidente americano, in un incontro in un’università statunitense invitò gli studenti a studiare economia e a lasciar perdere l’arte. Ma Obama, si sa, vive negli Stati Uniti, divenuta nazione quando l’Italia era già stata inondata, nell’arco di decine di secoli, dai capolavori di Cimabue e Michelangelo, Raffaello e Botticelli, Caravaggio e via discorrendo; ragion per cui in qualche modo si potrebbe pure giustificare il suo superficiale appello.
In Italia però no, espressioni del genere non si possono sentire. Non si debbono sentire!
E poi, capisco che non tutti possono avere la stessa sensibilità verso lo studio del patrimonio artistico e archeologico nazionale e internazionale, ma fa specie che ad auspicare la cancellazione della Storia dell’Arte dai programmi scolastici sia il Ministro titolare proprio del dicastero che dovrebbe occuparsi della tutela dei beni culturali. Perpetuando così il convincimento che la cultura non produce benefici materiali, ma che rappresenta solo un costo. Quasi che si potesse ricondurre tutto a costi e a valori di mercato. Ovviamente nel caso di Bonisoli il costo sarebbero i professori e gli storici dell’arte, e forse, chissà, anche le facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, di Restauro et similia? Ma dai, siamo al paradosso: ci si dimentica che l’Italia è la nazione che con la vicina Grecia è stata culla della civiltà. Che è il Paese con il maggior numero al mondo di siti Unesco!
In una nazione dove già ora i parametri per investimento sulla cultura sono sotto la media Ocse, sentir dire di nuovi tagli è davvero stupefacente. E tutto questo avviene nell’indifferenza dei media e delle agenzie di informazione, impegnati o a ignorare le boutade dei governanti o, al massimo, a banalizzarle spacciandole per gaffes, convinti di rabbonire così la nazione.
In verità, ma dico una cosa ovvia, il problema non è di costi quanto piuttosto di sensibilità politica e culturale. In un Paese educato a botta di ore e ore di Grande Fratello, Amici, i pacchi di Affari tuoi o i plastici di Porta a porta è già troppo che si conosca quanto meno il nome di Giotto (quando sia vissuto e cos’abbia fatto di strabiliante sono certo che lo saprà solo una frazione millesimale di un possibile plafond di intervistati). Che bei tempi, verrebbe da dire, quando sul cinescopio dell’unico canale tv – anche questo in bianco e nero – compariva Ungaretti a declamare i versi dell’Odissea, o quando passavano le scene e i dialoghi de Il mulino del Po di Bacchelli!
Lo so bene, oggi non è possibile proporre una televisione che produca cultura, equivarrebbe ad abbassare l’audience e di conseguenza gli indici di affollamento pubblicitario. E questo il mercato non se lo può permettere. Meglio spettatori ignoranti e spendaccioni che dotti e risparmiatori.
Insomma, nell’Italia dove la cultura è nata, ciò che manca oggi è proprio la cultura; e non c’è bisogno di scomodare la memoria del più noto linguista italiano di questo secolo, la buonanima di Tullio De Mauro, che con la chiarezza che gli apparteneva denunciò il fallimento del sistema scolastico e l’inadeguatezza della pletora di riforme in campo formativo e culturale che, ad ogni cambio di ministro e di governo, hanno tentato di mettere in campo.
Meglio ignorare che è l’ignoranza ad avere un costo: economico, sociale, politico.
Per dirla con De Gregori: Viva l’Italia. L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare!