Le suore ci sono sempre state a Sant’Angelo dei Lombardi come nella mia vita. Quelle della mia infanzia erano le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, con il largo copricapo dalle ali bianche svolazzanti; le chiamavano le “suore cappellone” e questo mi faceva sorridere. Era una presenza dolce nel tempo in cui andavo all’asilo, quando mia madre affidava me e mio fratello alle loro cure amorevoli.
Nella nebbia della memoria rivedo ancora la severa figura della Superiora, suor Anna De Filippis, che con deferenza tutti chiamavamo Ma Mère, e con lei la bonaria suor Luisa; tra tutte le altre, però, il ricordo carico di una struggente dolcezza è per suor Maria Pedullà e per i frammenti di ostie che sempre ci regalava a noi bimbetti, quando ci capitava di incontrarla per strada.
Ma Mère e suor Celeste
In quell’antico e straordinariamente accogliente convento, intorno ai dieci anni noi ragazzini abbiamo fatto anche quello che pomposamente si definiva “ritiro” (praticamente ci trattenevamo dalla prima mattina al calar del sole), in preparazione della prima comunione.
Quando ero in un’età più adulta, preadolescenziale e adolescenziale, ho poi conosciuto e frequentato le Suore Oblate di Gesù e Maria, che in paese abbiamo sempre chiamato “le monache del Vescovo”, per il servizio fedele e instancabile che nell’Arcivescovado di Sant’Angelo dei Lombardi hanno reso ai tanti pastori che si sono succeduti alla guida della Diocesi.
Se le Vincenziane le ho frequentate fino alla primissima adolescenza, le Oblate, invece, sono state le suore dei giorni della cresima che, come ogni anno, il Vescovo impartiva nella sua cappelletta privata, curata come un prezioso gioiello proprio da queste suore.
Certamente non posso dimenticare suor Benedetta, la superiora, che nonostante il sorriso arrivasse prima delle sue parole, pronunciate nell’inconfondibile accento dei castelli romani (proveniva da Albano Laziale, se ricordo bene), con la sua mole imponente metteva in qualche modo in soggezione noi ragazzini. E meno che meno dimenticherei la saggia suor Maria Francesca, sempre accogliente con tutti e generosa nella preghiera; con loro c’era pure una giovanissima (e assai bella) suor Maria Emerenziana, il cui nome, così complicato per noi ragazzetti, Mons. Cristoforo Carullo, l’arcivescovo di quel tempo, ironicamente amava travisare in “suor Melenzana”.
Tutte queste religiose hanno riempito i miei giorni giovanili e anche quelli degli anni a venire, allorché mi fu dato, assieme ad un nutrito gruppo di amici, guidati dal compianto parroco don Bruno Mariani, di fare esperienza di dottrina sociale accanto ai vescovi che vennero dopo, a partire da Mons. Gastone Mojaisky Perrelli.
Suor Emerenziana, con Don Bruno e Mons. Mojaisky
Diventavamo adulti, e le suore Oblate erano sempre là, in Episcopio, pronte all’accoglienza e al servizio silenzioso e gratuito! Una presenza ricca di carisma, se è vero che nel corso degli anni sono state tante le ragazze santangiolesi – Fasano, Morrongiello, Porciello, ecc., addirittura alcune della medesima famiglia – che poi hanno scelto di indossare la veste dell’antico ordine fondato da suor Marianna Maggiori.
Col passare degli anni e il mutare dei tempi, l’antica e radicata presenza delle suore Oblate a Sant’Angelo ha poi recuperato l’originaria missione: non più “custodi” dei vescovi ma educatrici premurose, dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù e pronte al servizio della comunità e dei più bisognosi.
Lasciato l’Arcivescovado, negli anni Settanta del Novecento, le suore Oblate si sono poi trasferite nella loro nuova casa in via Bartolomei, una sede certamente molto più funzionale alla missione che hanno scelto di svolgere.
Questa sede, scampata alla furia distruttrice del sisma del 1980, è stata (solo per poco tempo, però) ancora una volta un punto di riferimento per gli Ordinari diocesani che si sono succeduti negli anni immediatamente successivi.
Scuola dell’Infanzia “San Giovanni Bosco”
Ricordo che a Mons. Antonio Nuzzi, il santo vescovo del dopo terremoto, parve poco decoroso che il suo letto avesse un tetto mentre tutti gli altri ne erano privi, cosicché si fece portare una roulotte e la situò davanti all’ingresso della casa delle monache, all’interno della quale nel frattempo erano stati (ri)aperti un asilo per i più piccoli e un’apprezzata Scuola Materna, dove ancora oggi vengono accolti numerosi bambini in età prescolare. Quando erano piccoli, tra questi bambini ci sono stati pure i miei tre figli, che con le suore e le maestre che le affiancavano hanno appreso i primi rudimenti del “leggere, scrivere e far di conto” e, assieme, quelli elementari della dottrina cristiana. Ricevendo non un servizio ma un regalo di cui sono andati lieti!
Infaticabile e generoso – posso testimoniarlo con cognizione di causa – è stato l’operato di suor Veronica, arrivata a Sant’Angelo dalla sua Sardegna, di suor Maria Francesca, di suor Maria Cleofa, della dolcissima suor Gerardina e di tante altre ancora, tutte con un particolare e personale carisma, tutte con la gioia negli occhi, regalata senza risparmio.
Suor Gerardina
Sì, posso dirlo con sincera convinzione che le Suore Oblate, per quello che hanno significato per me e per la mia famiglia, si sono conquistate una fetta rilevante del mio cuore. A loro devo riconoscenza e gratitudine, oltre che una preziosa amicizia.
Ora che non sono più il ragazzino che fa la cresima o il giovane adulto alle prese coi principi, le teorie, gli insegnamenti e i problemi di natura sociale ed economica del mondo contemporaneo, per me le Suore Oblate hanno oggi il viso dolce e affaticato di suor Emerenziana Vella – sì, ancora lei, che il Signore ce la conservi per ancora molti e molti anni – e quello irriducibilmente tenace di suor Consolata Franciosi, che, talvolta unitamente alle santangiolesi suor Tecla e suor Costanza Fasano, con grande generosità rendono un instancabile, generoso e silenzioso servizio al paese e alla comunità. Una comunità che da sempre si tiene cara la loro presenza, perché, per dirla con Aldo Onorati, attento biografo della fondatrice dell’ordine delle Suore Oblate di Gesù e Maria, «a noi, figli della storia e delle circostanze, rimane il compito di raccogliere alcuni frutti, nonché di ringraziare chi pensò, nel suo lavoro, anche alle genti future».
Suor Emerenziana
Suor Consolata
Una raccolta di frutti che mi auguro possa avvenire ancora per moltissimi decenni a venire, consapevole di quanto le Suore Oblate fanno per i bambini e per le famiglie, soprattutto per quelle che si trovano nel bisogno.