Un caro ricordo di mio nonno Michele, nel giorno del suo onomastico

Nonna Filomena e Nonno Michele

Il ricordo più lontano di nonno Michele, dal quale ho avuto il mio nome, è quello di un uomo già anziano, dietro la scrivania dell’anagrafe comunale, con le mezzemaniche nere e un registro grandissimo sul quale faceva scorrere velocemente la penna da intingo, con pennino a cavallotto. Una penna dalla quale fluiva una calligrafia perfetta che nemmeno la mia vecchia maestra delle elementari era capace. E ancora, il calamaio pieno d’inchiostro e un tampone di carta assorbente bianca, appena punteggiata qua e là da piccole macchie nere che lasciavano intendere quante poche volte nonno Michele lo avesse usato per rimuovere l’inchiostro in eccesso da nomi, cognomi e stati civile che erano loro stessi la ragione del lavoro di quello scrivano d’altri tempi.
Non avevo che cinque, sei anni e quell’uomo, alto e con un viso asciutto e rigoroso, m’incuteva una soggezione che solo le parole rassicuranti della zia Ada riuscivano a rimuovere, aprendomi ad un sorriso che prontamente veniva ricambiato dal nonno.
Si, mio nonno Michele, il padre di mio padre, era un impiegato d’anagrafe. Un ruolo a cui era stato chiamato più per il suo rigore morale che per la precisione calligrafica che era il segno distintivo del suo lavoro.
Prima di avere in consegna i registri di nascita e di morte, però, nonno Michele era stato una guardia municipale. Questa cosa la scoprii guardando sul cassettone nella camera da letto dei nonni una fotografia che ricordo da sempre ingiallita, in una modesta cornice di legno. Un’immagine che mostrava mio nonno impettito di fronte ad una persona con la divisa di ufficiale di alto rango. In mezzo, tra i due, un signore dall’aria distinta del quale, ricordo, mi colpiva la catenella dell’orologio che pendeva dal taschino del gilet. Una “cipolla”, questo era il nome usuale di quel tipo di orologio, che vedevo nei giorni di festa pendere anche dal gilet di nonno Michele e che oggi è arrivato a me che la conservo gelosamente tra le cose più care.
Ci volle ancora qualche anno per scoprire chi fossero quegli uomini nella foto ingiallita. Il personaggio in divisa, alto, imponente e con la mano sinistra sulla spada, era nientemeno che il Principe di Napoli, Umberto di Savoia, appena sceso dalla vettura che lo aveva portato in Irpinia. Una figura imponente, ma anche una persona affabile e sorridente con i suoi interlocutori. L’altro, invece, era il Podestà di Sant’Angelo dei Lombardi, Francesco Fischetti, che aveva accolto alle porte del paese il futuro Re d’Italia, in visita di cortesia il 29 agosto del 1932 alla comunità santangiolese. Mio nonno, con la divisa di guardia municipale, su cui brillavano le medaglie e le decorazioni guadagnate in guerra, era la “scorta”!
Altri ancora sono i ricordi di nonno Michele che ora affollano la mia mente. Uno per tutti: l’abitudine del mio avo di tenere sotto la coscia destra, quando si metteva a mangiare, seduto al suo posto a capotavola, un fazzoletto bianco da naso. Era il suo modo, forse bizzarro, di sicuro efficace, per tenerlo sempre “stirato” e perfettamente squadrato negli spigoli. Un piccolo gesto che dice, però, del suo volersi sentire in ordine in ogni suo gesto, sia quando si presentava davanti al Re, sia quando si occupava di un contadino venuto a dichiarare un figlio all’anagrafe comunale.
Uomini d’altri tempi, non c’è che dire!

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Michele Vespasiano

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