L’inquietudine dettata da questi nostri tempi di sovranismo, che generano persistenti scricchiolii all’architettura democratica e costituzionale nazionale ed europea, impone riflessioni scevre da dogmi populisti. Un esercizio da fare prima che l’eco degli schianti annichilisca ogni altra voce.
Considerazioni che potrebbero trovare incoraggiamento nella lettura iconografica di un affresco di Giandomenico Tiepolo, dal titolo “Il mondo nuovo”, dove l’atteggiamento della massa anonima, la voglia di illusione e stordimento che percepiscono hanno molti punti di contatto con il momento storico che viviamo.
Qui la folla che si lascia distrarre dalla “lanterna magica” preferisce ignorare che di lì a poco Napoleone toglierà ai Veneziani ogni illusione di grandezza, consegnando Venezia all’Austria.
In questo io ci vedo la metafora dell’oggi: mentre spasimiamo per il selfie di un supposto “Capitano”, altrove si progetta la colonizzazione dell’Italia!
Cosicché, all’alba del 2019 è forse il caso di interrogarsi se non sia il caso di riabbracciare con urgenza i vecchi convincimenti democratici, confidando che possano aiutarci ad inventare un mondo nuovo che, rinnegando gli imbonitori e gli incantatori di serpenti, ci riporti con i piedi per terra.
A questo scopo ho ripescato dalla memoria la lettura di una vecchia (ma sempre attuale) pagina del blog http://senzadedica.blogspot.com, dove con dovizia interpretativa l’autrice offre un’esaustiva lettura critica del dipinto del Tiepolo.
La ripropongo anche ai lettori e seguaci del mio blog, convinto che sapranno trarne i giusti parallelismi con l’attualità e le giuste riflessioni per il nuovo anno.
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GIANDOMENICO TIEPOLO: IL MONDO NUOVO
Giandomenico Tiepolo (1727-1804), rientrato a Venezia, crea la sua bottega e consolida la sua reputazione di pittore e incisore, con una vena di ironia beffarda e malinconica. Ma l’ombra del padre continua a incombere su di lui.
Per sentirsi libero decide di dipingere ad affresco, solo per se stesso, le pareti della sua villa di campagna a Zianigo.
Là si sente svincolato da ogni pressione e può finalmente dare sfogo alla sua ispirazione. Dipinge piccoli ritratti di animali, storie di stralunati Pulcinella e scene di vita quotidiana.
Come il “Mondo Nuovo”:
Un grande affresco, largo cinque metri e alto circa due, con un taglio della scena teatrale o, meglio, cinematografico.
A sinistra una palizzata di assi, fa da quinta e indirizza lo sguardo verso un “casotto”, una baracca sormontata da una torretta e con due stendardi. All’orizzonte si intravedono, indistinti, mare e laguna.
In primo piano, c’è un gruppo di persone tutte viste di spalle, dove si mescolano popolani, nobili e borghesi, uomini e donne, abbigliati in redingote, ampie gonne, parrucche, cuffie o cappelli.
A sinistra, spicca la maschera di Pulcinella. In un angolo, tra la massa dei curiosi, due persone di profilo. Sono i due Tiepolo: Giandomenico, che sbircia la scena con l’occhialino e il padre Giambattista, a braccia conserte e con l’aria distaccata.
Al centro, un ragazzino vestito di bianco è il solo che sia rivolto verso lo spettatore.
Tutti sembrano in attesa di un evento: attendono il loro turno per guardare, dentro una finestrella del casotto, uno spettacolo che per noi resta invisibile.
Un uomo in tricorno, l’unico con un abito scuro, in piedi su uno sgabello, sembra mostrare qualcosa con una lunga bacchetta.
Se ci fosse il sonoro potremmo sentire, al di sopra del brusio, dei commenti e, forse, di qualche protesta, la voce squillante dell’imbonitore, che ripete: “Venite, venite a vedere il mondo nuovo”.
Ecco cosa aspettano: aspettano il “mondo nuovo”.
Siamo a Venezia nel 1791 e l’anno si è aperto, come al solito, tra le feste.
La città, estenuata dalle perdite economiche e militari, ha rinunciato al predominio sul Mediterraneo e alle sue fonti di ricchezza. Ma vive un tramonto glorioso: al potere reale si è sostituito quello dell’apparenza e non è mai sembrata così bella e lieta.
Ha 150.000 abitanti e – si dice – altrettanti turisti. È diventata una tappa obbligata del Grand Tour: la sua brillante vita mondana e un patrimonio artistico intatto, mai toccato da guerre o saccheggi, attraggono visitatori italiani e stranieri.
“Splendore e sporcizia”, secondo un viaggiatore dell’epoca, si mescolano.
E la città sembra oscillare tra due anime, quella del gioco e delle avventure di Giacomo Casanova e quella critica e realistica di Carlo Goldoni.
La dolcezza del vivere è al suo culmine. Ricevimenti, caffè, teatri, concerti, giochi d’azzardo e, soprattutto, il Carnevale.
Lunghissimo: cinque mesi l’anno, in cui tutti possono uscire in maschera. Ogni trasgressione è ammessa. E balli dappertutto, dai palazzi alle locande: un’entrata sicura per l’economia della città che, sul Carnevale, ormai, ci vive.
La gente ha un bisogno continuo di nuovi divertimenti.
Vicino a Piazza San Marco hanno costruito due “casotti”, dove si mostrano le più varie attrazioni: cavadenti, animali esotici e uno svago che ha incontrato, da subito, un enorme successo, il “Mondo nuovo”, appunto.
È un lanterna magica, un cosmorama, dove si possono vedere immagini esotiche di terre lontane.
Al “Mondo nuovo” si dedicano articoli e poesie. È uno spettacolo suggestivo che lascia spazio alla fantasia: l’evasione di cui molti hanno bisogno.
Ecco cosa sta guardando la folla dell’affresco.
Ma è solo questo? No, non è solo questo. Quello che si avverte nel dipinto è, soprattutto, una sensazione di profonda inquietudine.
I tempi sono duri e Giandomenico Tiepolo lo sente. Non è più il momento per gli illusori mondi creati dalla pittura del padre, né per eleganze capricciose o riccioli vaporosi.
Il suo stile si semplifica, diventa sobrio, sintetico, quasi abbreviato. Quello che conta è cogliere e ricreare l’atmosfera del tempo. E nell’aria c’è il senso imminente della fine di un’epoca.
La rivoluzione francese ha spazzato tutto, ha creato nuove aspirazioni e incrinato vecchie certezze. Tra pochi anni, le truppe napoleoniche entreranno in una Venezia stremata. Sarà proprio Bonaparte a cedere la Serenissima all’Austria.
Giandomenico Tiepolo, nato veneziano, morirà austriaco. Questo, certamente, non lo può prevedere, ma, in qualche modo, lo intuisce.
La folla senza volto, accalcata intorno alla baracca, sembra rappresentare l’intera Venezia, col suo passato glorioso e il suo avvenire incerto.
Non è un caso che Tiepolo provi il bisogno di inserirvi le immagini che danno il senso del passare del tempo e dello scorrere delle generazioni: il ritratto di suo padre, la maschera di carnevale del Pulcinella e il ragazzo vestito di bianco che, forse, rappresenta il futuro.
Quella che tutti attendono è molto di più di una lanterna magica: è la promessa di un avvenire migliore e la speranza di un “mondo nuovo” che spazzi la paura del presente. E così si lasciano tentare dall’imbonitore e si rifugiano nell’ultima illusione.
Ma il dipinto non riguarda solo la Venezia del Settecento.
Ogni finis historiae, il dileguarsi di orizzonti e di sicurezze che accompagna il tramonto di un’epoca, porta i segni della stessa malinconica inquietudine.
Ed è quella inquietudine che sembra toccare anche noi e che riconosciamo nel nostro senso di incertezza e nelle nostre paure.